Il caffè espresso a me non piace. O meglio non piaceva.

23 Ottobre 2023
Redazione

Il caffè espresso a me non piace. O meglio non piaceva.

23 Ottobre 2023
Redazione

Il caffè espresso italiano non mi piace. O meglio non piaceva perché ho sempre bevuto caffè espressi cattivi.

Io di caffè sono una mera consumatrice. Non una scolarizzata né tantomeno un tecnico, ma alla conclusione di cui sopra ci sono arrivata grazie alle scienze sensoriali.

L’approccio in effetti è stato per me un pochino tragico dato che, dopo aver pronunciato la medesima frase con la quale ho aperto questo articolo davanti a un sensorialista esperto di caffè, sono stata costretta a bere tre espressi in poche ore in tre locali diversi e a raccontare cosa ci sentivo dentro.

Il primo caffè

Il primo caffè della serie mi aveva semplicemente confermata la nota olfattiva che prima di tutte io rilevavo quasi sempre in un caffè appena la tazzina mi giungeva al naso, forse perché il mio cervello ormai andava a ricercare solo quella: l’odore dello straccio bagnato, sentore che mi aveva da subito tolto il piacere di proseguire con l’analisi del prodotto che avevo davanti.

Mi era arrivata immediatamente una spiegazione semplice e chiara, per quel poco che ne sapevo di caffè. Quel particolare espresso aveva in effetti quel forte odore sgradevole come difetto principale, causato soprattutto dalla scarsa materia prima utilizzata e dalla cattiva manutenzione delle attrezzature con cui era stato preparato.

Il secondo test

Con il caffè successivo era andata molto meglio. Innanzitutto ero stata invitata a guardare la superficie della crema all’interno della tazzina. Non l’avevo mai fatto in vita mia, da sempre abituata a tuffarci dentro un’intera bustina di zucchero e a mescolare il tutto, senza pensare che già la vista poteva dirmi molto della bevanda che mi stavo accingendo a bere. Innanzitutto il colore della superficie della crema non era marrone scuro come nel caffè precedente ma tendeva a un marroncino chiaro. Inoltre la crema era molto più compatta e corposa. All’olfatto mi ero sforzata di concentrarmi sui profumi e in quel caso mi ero accorta che un’analisi più attenta mi portava al naso un aroma dolce e piacevole di biscotto, che però in bocca lasciava subito il posto a una spiccata nota amara molto persistente, nonostante avessi aggiunto lo zucchero.

La spiegazione mi aveva stupita. Lo zucchero (ne basta metà bustina di quelle che normalmente il barista mette sul piattino) in realtà amplifica la persistenza delle note odorose positive, a condizione però che il caffè sia di ottima qualità e che sia preparato con metodologie e attrezzature a regola d’arte, altrimenti l’aggiunta del saccarosio peggiora il tutto.

In quel caso avevo scoperto che non per forza il caffè per essere apprezzato deve essere bevuto amaro, come tanti miei amici “puristi” continuavano ad affermare. Per tirare le somme, il secondo caffè era molto migliore del primo ma non era un prodotto talmente eccellente da farmi cambiare idea sul postulato di cui prima.

L’ultimo caffè

Con il terzo e ultimo caffè mi si era aperto un mondo. La differenza con quelli precedenti l’avevo notata appena avvicinata al bancone del bar. Senza che io gli chiedessi nulla, il barista aveva cominciato a narrare il prodotto che si stava accingendo a prepararmi spiegandomi quale fosse la materia prima utilizzata e la sua provenienza, come aveva tarato il dosatore di caffè in base all’umidità del giorno, quale cura aveva profuso quella mattina nel pulire la macchina. Inutile dirlo, alla vista la superficie della bevanda preparata da quel professionista era di un bel color nocciola con qualche sfumatura rossiccia, compatta e cremosa. Al naso il caffè si presentava equilibrato, senza odori anomali o difetti;, dove i sentori di pasticceria rincorrevano quelli di tostato e di vaniglia.

Alla domanda se in quel momento riuscissi a cogliere al retrolfatto la nota fruttata mi sono arresa, quello per me era troppo, ho dovuto ammettere che non la percepivo.

Ma l’esperienza ha apportato in me una piccola rivoluzione, e poco mi importa se gli altri avventori del bar al giorno d’oggi mi guardano storto quando mi vedono osservare dentro la tazzina e portarla al naso per più volte prima di iniziare a bere il mio buon espresso italiano.

Monica Panzeri, Panel Leader in analisi sensoriale e Consigliere dell’Associazione Narratori del Gusto. E’ autrice, con Luigi Odello, del libro “Il Codice Sensoriale Limone”, una monografia con valenza scientifica sul limone quale agrume ambasciatore di un territorio.

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